domenica 21 dicembre 2008

il punto di vista di Frodo (2): dal cavaliere alla congiura

Proseguendo nel racconto, Frodo, Sam e Pipino incontrano per la prima volta un cavaliere nero. L'incontro è raccontato dal punto di vista di Frodo, che rimane più vicino alla via, e sente quanto Pipino e Sam non possono sentire.

Quando i tre penetrano nelle terre del vecchio Maggot, i ricordi sono quelli di Frodo e la paura dei cani è quella di Frodo. Pipino non li teme, anzi è conosciuta a casa del fattore. Sam non è mai stato così lontano, e all'inizio è sospettoso. Il motivo però è che cani e padrone sembrano ostili a Frodo. Quindi la sua prospettiva rimanda a quella di Frodo.

Quanto ai funghi, il loro gradevole odore viene percepito dal lettore quando raggiunge le narici di Frodo.

Un altro evento permette di riconoscere che il punto di vista da cui è raccontata la storia è quello di Frodo. Si tratta del capitolo "Una congiura smascherata". All'inizio il lettore sa quello che sa Frodo, ed è sorpreso quanto lui di scoprire che Merry e Pipino sono al corrente del segreto dell'Anello. Il lettore lo viene a sapere quando lo viene a sapere Frodo: cioè quando Merry e Pipino glielo dicono.

giovedì 11 dicembre 2008

il punto di vista di Frodo (1): casa Baggins

Avevo sostenuto che il Signore degli Anelli viene raccontato dal punto di vista hobbit.

Si può precisare oltre: in larga parte del racconto, il punto di vista è quello di Frodo. Nel primo capitolo avviene una sorta di passaggio di consegne: Bilbo lascia la scena, e Frodo gli succede. Non solo, ma gli succede anche come erede dei suoi beni e della sua casa.

Internet ci ha familiarizzati con il concetto di home. Nel Signore degli Anelli Casa Baggins è home. Da lì si parte, lì si arriva. Di Casa Baggins conosciamo gli interni e l'arredamento, come solo un abitante può fare. Si può dire che il lettore abita a casa Baggins. Ma l'unico abitante di casa Baggins è Frodo.

Dunque il lettore si identifica con Frodo.

mercoledì 26 novembre 2008

fantascienza e letteratura fantasy

Si sente dire spesso che col Signore degli Anelli Tolkien ha creato il genere fantasy. Altri dicono che lo ha rinnovato. Difficile pronunciarsi, senza prima definire che cosa si intende per fantasy.

Che vi sia oggi un genere fantasy è facile vederlo: basta entrare in una libreria ben fornita, e ci sarà uno scaffale dedicato alla letteratura fantasy. Segno evidente che la letteratura fantasy trova lettori. Ma quei lettori che cosa cercano nello scaffale?

Alcuni lettori consultano anche lo scaffale vicino, dedicato alla fantascienza. Ma altrettanto spesso il lettore non passerebbe da un settore all'altro. Una volta non era così. Prima del successo del Signore degli Anelli, c'era solo lo scaffale di fantascienza. Qualche decennio prima non avrei trovato neppure quello.

Fantascienza e fantasy hanno molto in comune: i racconti sono ambientati in uno scenario diverso dal mondo reale. In questo modo il lettore percepisce immediatamente di trovarsi dinanzi a un racconto fantastico.

La fantascienza ottiene lo scopo ambientando gli eventi in un futuro più o meno remoto, in cui i progressi della scienza saranno tali da rendere tecnicamente possibili cose che oggi non lo sono. Tutti sappiamo che nel nostro mondo non è possibile il volo interstellare. In un lontano futuro, chissà. Se è possibile nel mondo del testo, vuol dire che quel mondo non è il nostro. Un mondo futuro non è il mondo reale.

La letteratura fantasy invece ambienta gli eventi narrati in un mondo diverso dal nostro, o nel nostro mondo, ma in un passato diverso da quello del nostro mondo. Questa è una prima visibile differenza. Anche la letteratura fantasy racconta eventi che non potrebbero capitare nella nostra vita, ma la forza che li rende possibili è la magia. Nel nostro mondo la magia non funziona. Se funziona nel mondo del testo, è chiaro che i due mondi sono diversi.

A volte si leggono racconti che è difficile collocare: così per esempio se in un mondo futuro è ammessa la magia. Oppure, si potrebbe raccontare un viaggio nel tempo che faccia tappa sia nel passato che nel futuro. O si potrebbe passare da un mondo a un altro parallelo. Lo scrittore correrebbe allora il rischio di perdere il lettore. Il lettore non ama essere ingannato, come avverrebbe se gli si propinasse qualcosa di diverso da ciò che cercava. Si possono fare esperimenti, ma occorre garantire un tono prevalente, perché il patto stipulato col lettore resti valido.

martedì 25 novembre 2008

punto di vista hobbit

Sembra abbastanza chiaro che il punto di vista adottato nel Signore degli Anelli sia quello degli Hobbit. La storia comincia a casa Baggins, dove era cominciato lo Hobbit. Tolkien si sofferma volentieri a raccontare la festa di compleanno Bilbo, e riferisce dettagli apparentemente insignificanti di usi e costumi Hobbit. Ne risulta un avvio lento della narrazione, che a volte scoraggia i potenziali lettori.

I costumi hobbit ci possono interessare più o meno. Ma qui mi interessa domandare quale sia la funzione narrativa del primo capitolo. Perché partire così lentamente? Risponderei: perché dovrem vedere la Terra di Mezzo dal punto di vista degli Hobbit. Visto che Hobbit non siamo, abbiamo bisogno di fare la loro conoscenza; più ancora, di familiarizzarci con loro. Persino di cominciare a vedere gli uomini come "la gente alta". Si tratta di un punto di vista ben determinato: diversamente dalle nostre abitudini, guarderemo gli uomini dal basso in alto.

L'effetto artistico è ottenuto mediante aggettivazioni come "la gente alta", o avverbi come "vicino" e "lontano". "Alto" vuol dire "alto rispetto a me"; "lontano", vuol dire "lontano da casa mia". Ecco come l'arte narrativa di Tolkien ci conduce ad assumere il punto di vista hobbit.

domenica 23 novembre 2008

perché adottare il punto di vista interno?

Ho cercato ieri di illustrare i punti di vista che il narratore può adottare.

Ma quale scopo si prefigge nello scrivere da un punto di vista determinato?

Per il punto di vista interno la risposta è abbastanza facile: vedendo e sentendo quello che sente un personaggio, il lettore è portata a identificarsi con il personaggio.

Basta considerare quanto accade allorché la narrazione viene condotta dal punto di vista di un ladro, che progetta un colpo grosso: il lettore, lo spettatore di un film, è portato a condividere speranze e paure del ladro. Teme di essere scoperto, di non riuscire a entrare, di non riuscire ad uscire, ecc. Non è necessario che il lettore simpatizzi con il ladro in quanto ladro, che ne approvi l'agire. Simpatizza con il personaggio, indipendentemente dalla qualità morale el suo agire.

Ne consegue che il punto di vista interno produce una sospensione del giudizio morale sul personaggio. Nessuno è buon giudice in causa propria. Nel momento in cui il lettore s'identifica col personaggio, trova difficile giudicarlo, come troverebbe difficile giudicare se stesso sotto l'impeto della passione. Semmai, il giudizio è possibile in un secondo momento, quando la passione è scemata. Il giudizio richiede un distanziamento, che non è compatibile con l'immersione nelle passioni del personaggio.

Non appena l'identificazione s'interrompe, il lettore ricupera la sua libertà di giudizio. Una volta uscito dal personaggio, allora lo può giudicare. Lo farà con tanta maggiore cognizione di causa, in quanto ha sentito quello che il personaggio sentiva e pensa di conoscere le motivazioni del suo agire.

Sarebbe bello a questo punto domandarsi da quale punto di vista è scritto il Signore degli Anelli.

sabato 22 novembre 2008

narrazione e punto di vista

Prenderemo in esame il Signore degli Anelli come racconto.

Vorrei esaminare diversi aspetti dell'arte narrativa di Tolkien: in primo luogo la trama, poi il punto di vista, i personaggi, il linguaggio, il tema, ecc.

Cominciamo dal punto di vista. Oggi cercherò di spiegare il punto di vista nella narrazione. I punti di vista possibili sono tre.

1) Non sempre un racconto ha un punto di vista. Alcuni narratori preferiscono raccontare come se fossero onniscienti. Ne hanno il diritto: in fin dei conti, stanno creando un mondo. Sono gli autori che ti dicono che cosa accade in luoghi molto lontani dall'azione principale, che ti dicono che cosa pensano dentro di sé i diversi personaggi.

In questo modo si scrive: «il lupo mannaro si avvicinò alla porta della stanza dei ragazzi. I ragazzi videro la maniglia che si abbassava, ma mai avrebbero immaginato che cosa stava per entrare».

2.1) La prospettiva del narratore onnisciente non è l'unica possibile. Stevenson e Dickens amavano scrivere racconti in prima persona. La voce narrante era quella di uno dei personaggi in scena, e il punto di vista si restringeva. Il narratore non poteva più sapere che cosa pensavano personaggi diversi da quello di cui avevo adottato la prospettiva: sembrerebbe incongruo al lettore. Il narratore parlava dal punto di vista del suo personaggio.

Si scrive allora: «Ero con mio fratello nella nostra stanza. Sentii un rumore fuori dalla porta, e dissi: Papà, sei tu? Nessuna risposta. Invece la maniglia cominciò ad abbassarsi».

Se proprio non ce la faceva più e voleva dire qualcosa che il suo personaggio non poteva sapere, il narratore ricorreva al senno di poi: cioè a quelle conoscenze che il personaggio focale aveva acquistato dopo la fine della storia raccontata. Si trattava allora di una trasgressione del punto di vista.

Potrebbe aggiungere: «Se avessi saputo che cosa stava per accadere, avrei afferrato mio fratello e sarei fuggito dalla finestra».

2.2) Nel xix secolo, Henry James teorizza la superiorità del racconto condotto dal punto di vista interno. Ma, con genialità, distingue il punto di vista interno dal racconto in prima persona. Si può benissimo raccontare dal punto di vista interno a un personaggio e scrivere in terza persona.

Si scrive allora: «Riccardo era sveglio, il fratellino invece dormiva. Riccardo sentì uno strano rumore fuori dalla porta ed ebbe paura. "Papà, sei tu?" Nessuna risposta. Invece la maniglia cominciò ad abbassarsi. La paura crebbe in terrore. Riccardo scosse, il fratellino, che si svegliò di colpo e gridò».

Si noti che il narratore sa che cosa pensa Riccardo. Conosce i suoi sentimenti e le loro gradazioni: dalla paura al terrore. Se anche che a Riccardo il rumore fuori dalla porta sembra strano.

Il narratore non conosce invece i sentimenti del fratellino, perché non li conosce neppure Riccardo. Può però congetturarli, a partire dalle azioni del fratellino e dai mutamenti esterni che i sentimenti inducono. Il grido del fratellino è un gesto che è facile interpretare come una paura improvvisa.

3) A partire da Hemingway, viene usato sempre più spesso un terzo punto di vista: quello esterno, diverso sia dal punto di vista interno sia da quello del narratore onnisciente. In questo caso il narratore ha il minimo di conoscenza: non ha accesso ai pensieri di nessun personaggio, a meno che questi non li manifesti con parole o azioni. Non ne conosce i sentimenti, se non quando emergono al di fuori, alterando il comportamento e le fattezze dei personaggi. Il narratore deve aguzzare l'ingegno per rilevare le espressioni dei personaggi, e deve farli parlare. Ha bisogno di cogliere i dettagli.

Si scriverebbe allora: «Riccardo era sveglio, il fratello piccolo invece dormiva. Un rumore proveniva dall'esterno. Riccardo sbarrò gli occhi e domandò a bassa voce: "Papà, sei tu?" Nessuna risposta. Invece la maniglia cominciò ad abbassarsi. Riccardo si voltò verso Luigi e lo scosse. Luigi si svegliò di colpo e gridò».

Ho dovuto togliere ogni riferimento ai pensieri e ai sentimenti di Riccardo. «Sbarrò gli occhi» è un gesto che rivela la paura di Riccardo. Non parlo più di «fratellino», perché ha una connotazione affettiva che andava bene nella percezione di Riccardo, ma non in quella del narratore esterno. L'ho chiamato Luigi, adottando il nome di battesimo.

Infine: il narratore può passare dall'uno all'altro dei tre punti di vista, a seconda del bisogno, oppure può adottare un punto di vista e attenersi ad esso dal principio alla fine.

Il cambiamento di punto di vista non è necessariamente un errore: a volte è una necessità. Il narratore usa l'una o l'altra risorsa, a seconda dell'effetto che vuole ottenere. Si può invece considerare un errore la commistione dei punti di vista. Se nella seconda o nella terza versione avessi detto che Riccardo sente il rumore del lupo mannaro, avrei fatto un errore. Se nel terzo racconto avessi parlato del «fratellino», o di «Gigi», che è il diminutivo usato da Riccardo, avrei fatto un errore.

Ora, la domanda è: da quale punto di vista è raccontato il Signore degli Anelli?

sabato 28 luglio 2007

benvenuti nella Terra di Mezzo

Benvenuti nella Terra di Mezzo. Forse hai già conosciuto Palantir nel blog dedicato alla fine della saga di Harry Potter. Perché avevo inserito nell'URL 7 pietre 7 stelle? Era una citazione del Signore degli Anelli. Nel viaggio verso Gondor in groppa a Ombromanto, Gandalf racconta a Peregrino che i re venuti dall'Ovest portarono con sé 7 pietre, 7 stelle e un albero bianco.

Il Palantir è la pietra veggente, che permette di vedere lontano. I Numenoreani se ne servirono per osservare che cosa accadeva nei loro vasti domini e per comunicare fra loro. Una pietra, però, era puntata verso Tol Eressëa, l'isola degli Elfi, e ancora oltre verso le terre immortali.

In questo blog punteremo il Palantir verso la vicenda raccontata nel Signore degli Anelli. Anche nella Terra di Mezzo sono all'opera forze primordiali. Alcune di essere sono sotto gli occhi, altre operano più in profondità. Cercheremo di metterle in luce analizzando la trama del racconto di Tolkien.